LEGGE 68/99: Quale privacy?
Il datore di lavoro non può pretendere di conoscere la diagnosi che ha portato all’invalidità del dipendente
L’assunzione del lavoratore in qualità di categoria protetta (ai sensi della Legge n. 68/1999) implica di per sé che il datore di lavoro disponga del certificato di iscrizione alle liste speciali previste dalla Legge n. 68/1999. Dopo di che, se il lavoratore richiede congedi per cure o la fruizione – per sé o per l’assistenza a familiari – dei permessi lavorativi (previsti dall’articolo 33 della Legge n. 104 del 5 febbraio 1992), il datore di lavoro è tenuto a chiedere sia copia del certificato di invalidità civile (da cui emerga che la persona ha una percentuale superiore al 50% per poter fruire del congedo lavorativo), sia del certificato dello «stato di handicap» (di cui all’articolo 4 della Legge n. 104/1992), per verificare il possesso o meno del requisito della «gravità» (di cui all’articolo 3, comma 3, della Legge n. 104/1992). Nel presentare copia di entrambi i verbali, il lavoratore può omettere la diagnosi, ma non la prognosi, né la percentuale di invalidità civile, né l’esito dell’accertamento dello «stato di handicap».
Da un punto di vita della privacy, il Garante per la protezione dei dati personali, sulla base di quanto previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (di cui al Decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003), ha emanato le «Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati» (di cui alla Deliberazione n. 53 del 23 novembre 2006).
La diagnosi medica sulla menomazione che ha portato all’accertamento dell’invalidità civile rientra tra i cosiddetti «dati sensibili» (articolo 4, comma 1, lettera d, del Decreto legislativo n. 196/2003), il quale vi annovera: «i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale».
I dati sensibili devono essere conservati osservando particolari cautele. Per tali informazioni, tra l’altro, l’ordinamento ha da sempre riservato particolari accorgimenti per contenere, nei limiti dell’indispensabile, i dati dei quali il datore di lavoro può venire a conoscenza per dare esecuzione al contratto, anche fuori della disciplina di protezione dei dati personali (si veda a tal proposito l’articolo 8 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970, Statuto dei lavoratori).
In linea generale, si applica quanto disposto al punto 3.3 del Codice in riferimento alle valutazioni del medico in capo al medico competente in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro che ha il compito della sorveglianza sanitaria obbligatoria. Il medico effettua accertamenti preventivi e periodici sui lavoratori ed istituisce una cartella sanitaria dove annota gli eventuali rischi del lavoratore e curando le opportune misure di sicurezza per salvaguardare la segretezza delle informazioni trattate. Detta cartella è custodita presso l’azienda o l’unità produttiva e il datore di lavoro – sebbene sia tenuto, su parere del medico competente, ad adottare le misure preventive e protettive per i lavoratori interessati – non può conoscere le eventuali patologie accertate, ma solo la valutazione finale circa l’idoneità del dipendente (dal punto di vista sanitario) allo svolgimento di date mansioni.
Detto ciò, in particolari casi (come, ad esempio, quando ci sono richieste da parte del lavoratore con disabilità per i permessi e i congedi di cui si è detto sopra), pur essendo legittima la conoscenza della diagnosi da parte del datore di lavoro, resta fermo a suo carico l’obbligo di limitarsi a comunicare all’ente previdenziale esclusivamente le informazioni sanitarie relative o collegate alla patologia denunciata, ma non i dati sulla salute relativi ad altre assenze che si siano verificate nel corso del rapporto di lavoro, la cui eventuale comunicazione sarebbe eccedente e non pertinente – con la conseguente loro inutilizzabilità -,trattandosi di dati non rilevanti nel caso oggetto di denuncia (articolo 11, commi 1 e 2, del Codice).
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