AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO: tutto ciò che c’è da sapere (nomina, quando viene disposto, consenso/rifiuto del beneficiario, caratteristiche)

AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO: profili generali del procedimento di nomina

Il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno è caratterizzato da snellezza di forme, da tempi contenuti e si articola in due fasi:

  1. Fase decisoria, che va dal deposito del ricorso fino all’emissione del decreto di nomina dell’ADS (o del decreto di rigetto della misura);
  2. Fase gestoria, che si apre subito dopo la nomina dell’ADS e che consiste nell’attuazione del progetto di sostegno e nella gestione da parte dell’amministratore dei compiti di assistenza e rappresentanza del beneficiario, sotto la vigilanza del giudice tutelare.

Le norme che disciplinano il procedimento per l’amministrazione di sostegno sono contenute nel codice civile, negli artt. 404 e seguenti, nonché nel codice di procedura civile e, specificamente, nell’art 720 bis cpc che a sua volta richiama, in quanto compatibili, le disposizioni processuali dettate in materia di interdizione, di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 cpc; ulteriori disposizioni si rinvengono in alcune norme del codice civile dettate in materia di tutela, richiamate dall’art 411 c.c. Le impugnazioni sono disciplinate dagli artt. 720 bis e 739 cpc.

Competenza per materia

Ai sensi dell’art 404 c.c. la competenza a conoscere i ricorsi per la nomina dell’ADS spetta al Giudice Tutelare; invece, in materia di interdizione e inabilitazione la competenza spetta al Tribunale in composizione collegiale.

L’art 404 c.c. specifica che per l’ADS è competente il Giudice Tutelare del luogo di residenza o domicilio del beneficiario; ciò vale sia per la fase iniziale del procedimento, ossia quella che si conclude con l’apertura dell’ADS, sia con riferimento alla fase successiva, ovvero quella relativa alla gestione dell’ADS.

Competenza per territorio

L’art 404 c.c. attribuisce la competenza a decidere in ordine all’ADS al Giudice Tutelare del luogo di residenza o domicilio del beneficiario; questo sia per la fase iniziale del procedimento che per la fase gestoria.

Ai sensi dell’art. 43 c.c. la competenza viene quindi individuata, con riferimento alla residenza, nel “luogo in cui la persona ha la dimora abituale” o, con riferimento al domicilio, nel luogo in cui la persona volontariamente “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”.

Si tratta di una competenza territoriale inderogabile, ai sensi dell’art. 28 cpc, dato che ci si trova in presenza di un procedimento che riguarda interessi di natura pubblicistica nel quale è prevista la presenza obbligatoria del Pubblico Ministero. Ne deriva che l’incompetenza territoriale sarà rilevabile anche d’ufficio ai sensi dell’art. 38, comma 3, c.p.c.

La ratio di tale scelta sta nel fatto che si vuole garantire alla persona fragile la presenza di un giudice di prossimità che possa seguirne le vicende personali e patrimoniali da vicino.

In quest’ottica, nella scelta tra i due fori alternativi, ossia quello di residenza o quello del domicilio del beneficiario, dovrebbe sempre privilegiarsi quello che consente di investire nel procedimento il giudice territorialmente più vicino alla persona.

Proprio con riferimento alla scelta tra i due fori alternativi si è pronunciata più volte la giurisprudenza di legittimità. In particolare, la Cassazione con ordinanza n. 23772 del 11.10.2017 ha stabilito: “la competenza in tema di amministrazione di sostegno si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza (formale) in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto dei suoi bisogni e delle sue richieste, anche successivamente alla nomina dell’amministratore…”

Poteri del Giudice Tutelare

Nell’ambito del procedimento per ADS il Giudice tutelare è chiamato ad un impegno costante, con compiti che non si esauriscono nelle funzioni decisorie (di cui è espressione l’emissione del decreto di nomina), ma si estrinsecano in poteri e doveri di coordinamento, impulso, controllo e direzione che proseguono per tutta la durata della misura dell’ADS.

Nello specifico il giudice tutelare, presa visione del ricorso, deve:

  • Disporne la trasmissione al pubblico ministero;
  • Fissare con decreto la data di udienza per l’audizione del ricorrente, del beneficiario e degli eventuali congiunti;
  • Assegnare un termine per la notifica del ricorso e del decreto al beneficiario e per la comunicazione ai congiunti;
  • Procedere all’ascolto diretto del beneficiario;
  • Sentire, nell’ambito della stessa udienza, il ricorrente ed eventuali altri parenti o conviventi;
  • Assumere ogni altra informazione;
  • Provvedere con decreto motivato alla scelta ed alla nomina dell’ADS entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso;
  • Ricevere il giuramento da parte dell’ADS;
  • Autorizzare eventuali atti di straordinaria amministrazione;
  • Disporre eventuali modifiche o integrazioni del decreto di nomina;
  • Esaminare ed approvare il rendiconto annuale, riguardante la gestione del patrimonio e l’attività svolta;
  • Esaminare ogni altra istanza o relazione pervenuta.

Trasferimento del beneficiario e mutamento della competenza del Giudice

Cosa accade se il beneficiario della misura dell’ADS muta stabilmente e volontariamente il proprio luogo di vita nel corso del procedimento?

La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza che ha altresì operato alcune distinzioni.

  1. Con riguardo alla fase processuale in cui si verifica il trasferimento

La Cassazione (ordinanza n. 15327 del 20.06.2017) ha effettuato un distinguo a seconda della fase del procedimento in cui si verifica il trasferimento.

Per cui se il cambio della residenza effettiva o del domicilio avviene nel corso della prima fase del procedimento di noma dell’ADS (ossia prima che il giudice abbia dichiarato aperta la misura dell’ADS), la competenza territoriale rimane invariata, ovvero la competenza rimane in capo al giudice tutelare chiamato a decidere in merito all’applicazione della misura di protezione. Ciò in quanto il mutamento della competenza ed il conseguente trasferimento della causa ad altro giudice comporterebbero l’interruzione dell’istruttoria già avviata costringerebbero le parti ad una nuova iniziativa presso altro tribunale con grave pregiudizio per la tutela e protezione della persona fragile.

Se, invece, il cambio di residenza abituale o di domicilio del beneficiario avviene nella fase gestoria (dopo la nomina dell’ADS), allora dovrà procedersi anche al trasferimento del procedimento al nuovo giudice competente per territorio.

2. Con riguardo alla stabilità e volontarietà del cambio di residenza o domicilio

La prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità hanno poi specificato che il trasferimento del beneficiario è rilevante solo nel caso in cui abbia carattere di stabilità o di volontarietà, mentre i trasferimenti temporanei non vanno ad incidere sulla residenza.

Allo stesso modo la Cassazione ha ritenuto che non è idoneo a determinare un mutamento della competenza un cambio coattivo del domicilio o comunque un cambio temporaneo non supportato da una volontà del soggetto di trasferire altrove il centro dei propri interessi. Si pensi al trasferimento e permanenza del beneficiario presso un luogo di ricovero e di cura o ai casi di ricovero coattivo presso strutture detentive; in tutti questi casi la Cassazione (ord. N. 8779/2010) ha ritenuto che il trasferimento del beneficiario in una struttura di ricovero non comporti automaticamente un mutamento del domicilio o della residenza, in mancanza della volontà del soggetto di trasferire ivi il proprio domicilio ed essendo la stabilità del ricovero collegata alle condizioni di salute dell’interessato. Ne deriva che la competenza a decidere della revoca e nomina di nuovo ADS non appartiene al giudice tutelare del luogo in cui il beneficiario sia stato di fatto trasferito, ma resta al giudice della circoscrizione in cui era stata aperta l’ADS.

Trasferimento dell’Amministratore di sostegno e mutamento della competenza del Giudice

Il cambiamento di domicilio dell’amministratore di sostegno determina una modifica della competenza territoriale?

L’art. 343, comma 2, c.c., dettato con riferimento all’apertura della tutela, prevede che “se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro circondario, la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale”. Questa previsione fa da corollario all’art. 45, comma 3, c.c., in virtù del quale l’interdetto ha il proprio domicilio presso il tutore.

Orbene, si è pronunciata sul punto la Cassazione che, ribadite le differenze tra gli istituti della tutela, dell’interdizione e dell’ADS, ha escluso che si possa applicare all’ADS le previsioni di cui sopra. Infatti, a differenza di quanto previsto dal citato art 45, comma 3, c.c., nel caso dell’ADS, il beneficiario mantiene il proprio distinto domicilio dato che la propria posizione non viene a sovrapporsi con quella dell’ADS. Di conseguenza, in caso di trasferimento dell’ASD in luogo lontano da quello di abituale dimora o di domicilio del beneficiario, si potrà al limite valutare se provvedere alla sostituzione dello stesso amministratore, laddove l’eccessiva distanza renda difficile l’espletamento dell’incarico.

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO come rimedio sussidiario.

Abbiamo visto qual è il presupposto per la nomina dell’amministratore di sostegno, ossia una condizione di generale inadeguatezza gestionale che consiste nell’impossibilità per il soggetto, a causa di una malattia -psichica o fisica- o per altri fattori, di provvedere autonomamente alla gestione dei propri interessi.

Il requisito dell’impossibilità di gestire i propri interessi deve però essere rigorosamente accertato in concreto e deve consistere in una condizione di oggettiva difficoltà del soggetto, che non sia superabile né con l’impegno dell’interessato, né con l’aiuto dei familiari o con l’intervento di terzi investiti istituzionalmente di compiti assistenziali.

Ciò significa che la misura dell’amministrazione di sostegno non potrà essere disposta in presenza del requisito inespresso (c.d. sussidiarietà rimediale), ossia non dovrà essere disposta in ogni situazione di incapacità o di inadeguatezza gestionale, ma solo laddove ve ne sia realmente bisogno, quando manchi una protezione del soggetto da parte della rete familiare o istituzionale o sociale.

Pertanto, le persone impossibilitate a gestire i propri interessi, non solo a causa di una malattia invalidante, non devono necessariamente essere assistite dall’ADS se possono esercitare i loro diritti adeguatamente assistiti da familiari o da terzi. Ne deriva che l’ADS potrà essere disposta nei confronti di tali persone solo come RIMEDIO SUSSIDIARIO, cioè solo se il sistema familiare e sociale non riesca a predisporre un adeguato sistema di protezione.

In sintesi, si può ritenere che l’amministratore di sostegno non dovrebbe essere disposto nei seguenti casi:

  • Qualora sia presente una rete familiare attenta alle esigenze della persona, priva al suo interno di conflittualità, né accusabile di sospetti di abusi o sfruttamento;
  • Qualora, anche in alternativa alla rete familiare, vi sia un intervento dei soggetti istituzionali addetti all’ausilio delle persone bisognose che sia adeguato a garantire un’idonea protezione della persona; ciò significa che va evitato ogni ricorso strumentale all’ADS da parte dei servizi sociali o di igiene mentale, nonché da parte delle strutture di tipo assistenziale, che pretendano l’applicazione della misura al solo fine di essere esonerati dalle attività di assistenza a cui sono istituzionalmente deputati.

Altre ipotesi di esclusione dell’ADS

Si ritiene che la misura dell’amministrazione di sostegno debba escludersi in presenza anche delle seguenti circostanze:

  • Quando vi sia la necessità di eseguire prestazioni sanitarie urgenti (nota Trib. Milano ai direttori Gen. ASST di Milano del 18.04.2018). Si pensi ad esempio ai casi in cui richieda la nomina di ADS al solo scopo di consentire di prestare un valido consenso/dissenso a interventi chirurgici o trattamenti sanitari da eseguirsi con urgenza a pazienti incapaci. A tal proposito, va ricordato che la L. 219/2017, art 1, comma 7, (Legge sul biotestamento) dispone che nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla. Questo significa che in tali casi, il medico è tenuto a garantire le cure necessarie, mentre è tenuto a accettare la volontà del paziente solo quando ciò sia possibile.
  • Quando la misura dell’ADS è stata ritenuta non necessaria laddove diretta esclusivamente alla prestazione del consenso agli strumenti di contenzione (es: spondine per il letto, cinture di contenimento per la sedia a rotelle) ed a ordinari trattamenti riabilitativi e assistenziali, poiché attuabili anche indipendentemente dal consenso del paziente, sulla base della sola prescrizione del medico.

Inoltre, l’ADS è da escludersi, in favore della misura dell’interdizione, nei seguenti casi:

  • Particolare complessità dell’incarico in quanto vi è la gestione di attività articolate da svolgersi in molteplici direzioni;
  • Potenzialità auto-etero lesiva della persona incapace;
  • Inadeguatezza dell’ADS, ovvero quando si ritiene preferibile il ricorso alla misura più afflittiva dell’interdizione per garantire alla persona un’adeguata tutela.

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: consenso e rifiuto del beneficiario

L’istituto dell’Amministrazione di sostegno  è entrato per la prima volta nell’ordinamento italiano con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004.

La funzione dell’ADS è quella di tutelare le persone che si trovano nell’incapacità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Fin dalla nascita di tale istituto è sorto il dubbio se il consenso del beneficiario sia presupposto indefettibile per l’applicazione della misura dell’ADS oppure se, al contrario, l’ADS possa essere disposta anche in mancanza di tale consenso.

A ben vedere, l’art 407, comma 2, c.c., statuisce che “il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce…e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”.

Dalla lettura della norma si evince che essa attribuisce rilievo alla finalità di protezione della persona, attribuendo rilevanza ai suoi bisogni e alle sue richieste, solo se compatibili con i suoi interessi e con le sue esigenze di tutela.

Sulla questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale che con ordinanza n. 4 del 19 gennaio 2007 ha chiarito come l’art 407, comma 2, c.c., “non esclude, ma anzi chiaramente attribuisce al giudice, anche il potere di non procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell’interessato, ove l’autorità giudiziaria ritenga detto dissenso giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione…”.

Anche la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul tema affermando che prevale l’interesse alla protezione della persona sul dissenso o sul rifiuto del beneficiario rispetto all’applicazione della misura.

In particolare, nella pronuncia n. 22602 del 27 settembre 2017, la Cassazione dopo aver ricordato che le finalità della legge consiste nel “tutelare con la minore limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”, ha precisato che “la volontà contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da una persona pienamente lucida (come accade quando la limitazione di autonomia è collegata ad un impedimento solo fisico) non può non essere tenuta in debita considerazione” e che, pertanto, “in tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe, il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione…”

Diversamente, il giudice tutelare dovrà procedere all’attivazione della misura di protezione nell’ipotesi in cui il soggetto, pur pienamente lucido, rifiuti il consenso per una sorta di orgoglio ingiustificato, che lo renda restio anche ad accettare altre forme di protezione attivate dal sistema familiare o sociale.

La Corte ha, altresì, chiarito che l’ADS dovrà applicarsi nel caso in cui l’interessato “rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore di sostegno, proprio a causa della patologia psichica da cui egli è afflitto…che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato..”

Caratteristiche dell’amministrazione di sostegno. 

I presupposti per l’applicazione dell’ADS sono indicati nell’art 404 c.c. che dispone che può essere assistita da un amministratore di sostegno  “la persona che si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica”.

La norma individua, dunque, un requisito:

– soggettivo, che consiste nella sussistenza di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica;

– oggettivo, rappresentato dall’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali.

Inoltre, la norma richiede un rapporto di causalità tra l’infermità o la menomazione fisica o psichica e l’impossibilità di attendere ai propri interessi.

Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, l’art 404 c.c. va integrato con l’art 1 della Legge n.6/2004 (istitutiva dell’ADS) che dispone: “la presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.

Ciò significa che l’ADS potrà essere disposta non solo in presenza dei requisiti soggettivi di cui all’art 404 c.c., cioè non solo in presenza di una specifica patologia clinica, ma anche in assenza di una patologia, ossia quando il soggetto è privo di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana per ragioni di tipo sociale, relazionale, culturale, etnico ecc.

Quindi, tenendo conto dei requisiti di cui all’art 404 c.c. e dell’indicazione di cui all’art 1 della Legge 6/2004, si può dire che l’ADS potrà trovare applicazione nei seguenti casi:

  • Presenza di un’infermità mentale che abbia i caratteri dell’abitualità e della gravità, nonché di una meno grave menomazione psichica che privino la parte, anche parzialmente o temporaneamente, della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali;

Il riferimento è alle gravi patologie psichiatriche come la psicosi, autismo, gravi depressioni ecc., nonché quelle neurologiche come la demenza, patologia di alzheimer, alle dipendenze come l’alcool dipendenza, la tossicodipendenza, la prodigalità.

  • Ai sensi dell’art 404 c.c. la presenza di un’infermità o di una menomazione fisica, che privino la persona, anche parzialmente o temporaneamente, della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali.

Il riferimento è qui alle più svariate patologie fisiche, compresi gli stati vegetativi, il coma, gli ictus, le malattie terminali.

  • Ai sensi della Legge n.6/2004 la sussistenza di una condizione di inadeguatezza gestionale, non necessariamente dovuta ad una patologia, ma comunque caratterizzata da dalla mancanza in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

Si pensi a tutte quelle persone che per cause di tipo psichico, fisico, sociale, relazionale o etnico versano in una situazione di disagio, di difficoltà nell’esercizio dei propri diritti e nella tutela dei propri interessi personali, affettivi, patrimoniali. In altre parole, coloro che non riescono ad occuparsi di sé stessi. Vi possono rientrare le persone senza fissa dimora, i neo immigrati, traumatizzati dal percorso migratorio ecc.

 

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