
Con la recente sentenza n. 9292 del 9 maggio 2016 la Corte di Cassazione è intervenuta in materia di pensione di invalidità, chiarendo quali sono i requisiti attuali e passati per averne diritto.
Se in passato occorreva l’incollocazione al lavoro, oggi basta dimostrare la mera mancanza di occupazione.
La normativa ai fini della pensione di invalidità è variata più volte nel tempo.
La norma base per la pensione di invalidità è costituita dalla Legge n.118 del 1971, articolo 13, che richiede il requisito sanitario (ossia una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%) e il requisito dell’incollocazione al lavoro.
Per incollocazione al lavoro s’intende la persona disabile che è senza lavoro e si è iscritta (o ha richiesto di iscriversi), negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro, o che ha attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria. Per provare l’incollocazione si doveva provare di non aver lavorato nonché di aver chiesto l’accertamento della ridotta capacità lavorativa e, a fronte di questa verifica da parte delle commissioni mediche competenti, di essersi iscritto negli appositi elenchi dell’articolo 8 della Legge n. 68/1999.
Tale requisito è rimasto in vigore sino alla Legge n.247 del 2007 che ha richiesto esclusivamente lo stato di non occupazione della persona disabile.
Il caso che ha portato alla sentenza in questione riguardava un disabile riconosciuto invalido al 74% a decorrere dal 2001, periodo in cui era ancora in vigore la legge n. 68/1999. Per tale ragione la Cassazione ha chiarito che nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge n. 68/1999 e l’entrata in vigore della legge n. 247/2007 il disabile che aveva richiesto l’assegno d’invalidità civile doveva provare sia di non aver lavorato e sia di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili.
Dal 2007 invece basta dimostrare la mera mancanza di occupazione.
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